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Il silenzio che parla: tra assenza, ambiguità e rivelazione

Il silenzio che parla: tra assenza, ambiguità e rivelazione

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Il silenzio: uno straniero che irrompe nelle riunioni di lavoro, nei dialoghi, e con ancor maggiore insidia negli appuntamenti amorosi. Sono pause che pietrificano, sottraendo all’uomo la sua sostanza e quell’arsenale verbale cui ricorre per sentirsi intero. Di fronte a tali interruzioni l’individuo si scopre disarmato, proiettato in un vuoto che assume i contorni di un nemico immateriale.

Un nemico invisibile o una possibilità da riabilitare

Il silenzio è invisibile e impalpabile, un fantasma che pare regnare ovunque e nondimeno non essere da nessuna parte. Eppure questo “avversario”, la cui essenza è così enigmatica da suscitare angoscia, non potrebbe essere riabilitato in una dimensione nobile e benefica? Non è forse possibile scorgervi un conforto, un’appagante possibilità insita nella sua stessa ambiguità?

Il silenzio possiede una forza che il linguaggio non riesce a esprimere: paradossalmente è esso stesso un linguaggio da decifrare, più eloquente di molte parole soggette al regime dei suoni. È un codice che dice tutto senza pronunciare nulla. Non è monocromatico, ma, come un dizionario o un palinsesto, è composto da molteplici segni e sfumature che attraversano le discipline e caricano di senso la realtà. Ed è proprio questa sua ambiguità, questa sua ambivalenza, la fonte della sua potenza.

L’ambiguità del silenzio nei rapporti amorosi

Nel campo amoroso il silenzio si rivela particolarmente perturbante proprio a causa di questa sua ambiguità: quello della persona amata può far impazzire, poiché può indicare tanto un amore inconfessato, quanto una profonda indifferenza capace di ferire chi non è corrisposto. Tuttavia il silenzio non è un’entità univoca: si presta a letture molteplici e spesso contraddittorie, a seconda dell’ermeneutica che vi applica chi lo vive.

Si possono distinguere due modalità fondamentali di silenzio: l’Ineffabile e l’Indicibile. Il primo, l’Ineffabile, si apre sull’infinito: è quel silenzio che dilata le possibilità dell’essere e del divenire, ciò che non si può dire perché c’è troppo da dire: non esistono parole, bocche o orecchie sufficienti a contenere l’istante che si manifesta. Lì, è tutto troppo ricco per il commento; allora è il silenzio a colmare l’istante con la densità del suo non-commento. L’Indicibile, invece, può assumere una connotazione oppressiva: è il silenzio che sigilla che nega la comunicazione e che può trasformarsi in una condanna. La scelta tra queste letture dipende dalla nostra disposizione interpretativa.

Il silenzio amoroso può essere letto come una possibilità di amore illimitato, un istante di stupore dinanzi alla grandezza dei sentimenti che ci sommergono: la persona amata tace perché non esiste parola sufficientemente potente nelle categorie del linguaggio ordinario per rendere conto dell’intensità che la pervade.

Silenzio, immaginazione e trascendenza

Nel silenzio l’essere umano si libera dalla bassezza della mera materialità: legato all’immaginazione, il silenzio non è necessariamente angosciante, ma può divenire la condizione in cui tutto si realizza, privo di frontiere e prossimo all’irreale. È immateriale, non soggetto al giogo delle realtà tangibili: può cioè essere una sinfonia dolce e infinita, oppure trasformarsi in tragedia se si rifiuta l’armonia che porta con sé.

La densità del silenzio va esplorata con pazienza, come quando si apprende qulacosa di nuovo: chi penetra la sua intensità e ne ascolta le intermittenze infinitesimali accede ai suoi mormorii – la perfezione di una singola parola, di un piccolo messaggio, di un sussurro della vita – che sono l’opposto del nulla. Il silenzio può indicare una confessione da decifrare attraverso la conoscenza dei suoi codici percettivi e può essere letto come un invito alla lettura attenta, come un testo che richiede sensibilità ermeneutica.

Lasciare parlare il silenzio

Per onorare il silenzio conviene, più che autocommiserarsi, gustarlo come un elisir dai sapori inesauribili: non come vuoto da colmare, ma come spazio fecondo in cui la mente può dilatare le proprie categorie e la coscienza può toccare una forma di trascendenza.

Lasciamo la conclusione a questa citazione di Jankélévitch: “audacia suprema sarebbe di guardare il silenzio e lasciarlo parlare da solo”.

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