La produzione industriale torna a registrare un segno meno. Ancora una volta. Per la trentaduesima volta negli ultimi trentasei mesi, secondo le rilevazioni aggiornate. Un dato che, preso singolarmente, potrebbe essere interpretato come una semplice oscillazione ciclica; ma osservato nella sua ripetitività diventa un campanello d’allarme inequivocabile. Siamo davanti non a un incidente di percorso, ma a un trend.
Il peso del manifatturiero
Nel nostro Paese l’industria manifatturiera non è soltanto un settore economico tra tanti: rappresenta una delle colonne portanti del PIL, della competitività all’estero e della creazione di posti di lavoro qualificati. Quando questo comparto si indebolisce, si indebolisce l’intera impalcatura economica del Paese.
Il rallentamento industriale degli ultimi anni ha cause profonde: aumento dei costi energetici e logistici, ritardo negli investimenti in tecnologie avanzate, difficoltà di accesso al credito, calo della domanda interna. A questi fattori si aggiunge una concorrenza internazionale ogni anno più aggressiva.
La classe media che si assottiglia
Gli effetti non sono solo numeri su fogli contabili, ma dinamiche che toccano la vita delle persone. Una produzione che arretra comporta minori margini per le imprese, meno investimenti, meno assunzioni, salari stagnanti. Tutti elementi che alimentano una tendenza già evidente: l’erosione della classe media.
Il potere d’acquisto, colpito duramente da un’inflazione che ha interessato soprattutto beni essenziali, continua a ridursi. Per molte famiglie lavorare non è più sufficiente a garantire la stabilità economica di un tempo.
Il divario tra narrazione e realtà
A fronte di questi dati, il dibattito pubblico continua spesso a oscillare tra minimizzazione e propaganda. Crescite marginali vengono presentate come successi storici; segnali d’allarme vengono ignorati o giustificati come fattori temporanei e indipendenti dalla politica economica.
Ma la realtà non si modifica con la comunicazione. I cittadini percepiscono la distanza tra ciò che vivono e ciò che viene raccontato: il carrello della spesa sempre più caro, mutui e affitti più pesanti, il lavoro che non garantisce più un futuro solido.
Una sfida che richiede più visione e meno slogan
Se l’industria rallenta, se la classe media si impoverisce e se cresce la sfiducia verso il domani, non basta cambiare la narrazione: occorre cambiare la rotta. Servono politiche industriali efficaci, interventi sul costo dell’energia, incentivi alla modernizzazione tecnologica e una strategia coerente su lavoro e salari.
Il Paese non è condannato al declino, ma non può più permettersi di ignorare i segnali. Serve uno sguardo capace di andare oltre gli slogan e di coniugare competitività, equità e innovazione. Senza un’industria forte e una classe media stabile, nessuna ripresa potrà davvero durare.











