Le relazioni interpersonali rappresentano il nucleo pulsante dell’esistenza umana, e nulla, nella contemporaneità, conserva l’antica fisionomia. Ogni discorso, ogni elucubrazione ruota intorno a esse: vincoli capaci di aggregare o disgregare, reali o virtuali, labili o tenaci, feconde o nocive, esclusive o ibridate dall’ambiguità.
L’immaturità affettiva, come acutamente diagnosticato da Erich Fromm ne “L’arte di amare“, permea con allarmante capillarità la società odierna, dove l’incapacità di amare maturamente genera un’epidemia di solitudini connesse.
Come si sono trasfigurate tali relazioni negli ultimi lustri? In che misura noi, immersi in esse, navighiamo un turbine di affetti, passioni e sentimenti, spesso intrappolati in un vortice di ambivalenze irrisolte?
L’amicizia e il legame come misura dell’umano
È evidente che la qualità dei legami che tessiamo, il nostro approccio nel viverli e nel elevarli a paradigmi eccellenti, delinei il nostro statuto ontologico nel cosmo, come suggeriva Aristotele nell’Etica Nicomachea, elevando l’amicizia a virtù suprema dell’uomo politico e sociale.
In una relazione, il tempo profuso per edificare reciprocamente, per sondare l’alterità con pazienza socratica, per instituire e radicare riti condivisi si rivela essenziale; si impone un impegno perenne per “ordinare” il vincolo, come Bauman evocava nelle sue “Paure liquide“, dove l’effimero soppianta il perenne e i legami si dissolvono come neve al sole.
Spesso, tuttavia, scorgiamo l’altro come impedimento al nostro cammino esistenziale, privilegiando l’espulsione come via maestra, in un narcisismo patologico che Platone stigmatizzava come eros deviato.
Dove sono dileguati i sacrifici, quell’agonistica virtù stoica di cui parlava Epitteto? Dove l’ardore per forgiare un patto saldo con l’alterità, temprato dal fuoco della dedizione? Non è la coppia un armonico intreccio di due cosmi interiori, un “noi” plasmato dal dialogo autentico, eco della dialettica hegeliana?
Il lessico ambiguo dei legami moderni
In una società con venature borderline, tracciare confini si fa arduo; l’ambiguità infetta pure il lessico relazionale, rendendo opachi i termini come “frequentare qualcuno” o quel “è solo un’amica” che cela un’intimità trasmodante, simile alle nebbie descritte da Kafka nei suoi labirinti relazionali.
I “sì” mutano in “no”, i ruoli genitoriali si sfumano in complicità paritaria con i figli, partorendo adulti regrediti. I maestri, non più baluardi autorevoli di un itinerario formativo, sono screditati da genitori compiacenti, in un’inversione gerarchica che evoca il caos delle tragedie euripidee. Tale caos spalanca brecce a contenuti equivoci nei legami, permettendo a tossine emotive di proliferare indisturbate.
Durante il corso della mia vita e nelle centinaia di conferenze tenute, ho incontrato individui e coppie in crisi, alla ricerca di un nuovo paradigma per coesistere, deluse dal mondo che, secondo loro, ha malgestito le loro tempeste, intrappolate in inerzie paralizzanti che richiamano la noia esistenziale di Kierkegaard.
La maggior parte di loro, manifestava a parole: “abbiamo esaurito ogni tentativo”, ignorando che il vero fallimento risiede nel silenzio reciproco. Eppure, ciò che spesso rilevavo, era proprio il silenzio, quel tacere le difficoltà con tutti, persino tra loro. Avevano cioè smesso di indagarsi, assorti nell’illusione di “coppia ideale”, un mito platonico capovolto, mentre è proprio in quel luogo d’indagine che emerge lo spazio come “luogo sicuro”, ove sfogare timori, divergenze, assillo o noia. Quest’ultima, se non endemica, non corrode, ma illumina desideri e fabbisogni arcani, come Fromm ammoniva: “L’amore esige pratica e disciplina”, un’arte che richiede rigore ascetico.
Tra simbiosi e rifiuto: il pendolo relazionale
Relazioni instabili oscillano tra simbiosi totale e inettitudine al sano intreccio, in un pendolo schmittiano tra amico e nemico.
Chi ancora osa nei legami? Chi onora i riti – incontro, fidanzamento, unione familiare, matrimonio – che sempre Bauman chiamava “ancore contro la liquidità”, simboli duraturi contro l’entropia moderna? Molti le usano da “consumatori”, in un perenne “mordi e fuggi”, erodendo cose ed emozioni come in un banchetto dionisiaco degenerato.
I riti, invece, immunizzano dalle devianze, imprimendo nella psiche istantanee di senso intimo, come i miti fondativi descritti da Mircea Eliade ne “Il sacro e il profano” che ancorano il tempo sacro al profano quotidiano, conferendo stabilità e profondità ai legami umani.
In un mondo iperfluido, smarriamo riti, simboli, tangibilità: scaturisce l’instabilità emotiva che deploriamo senza ribellarci, un’apatia nietzschiana.
Nei riti ascendiamo dall'”Io” al “Noi”, dal solipsismo al condiviso, suggellando alleanze eterne. La pandemia ha devastato le relazioni interpersonali, irrompendo negli spazi vitali, nei ritmi quotidiani, nei progetti condivisi, tramutando individui in solitudini erranti e frantumando il tessuto connettivo della società.
Questo è dunque il tempo della riscoperta di sé, della gentilezza e della delicatezza verso gli altri e le cose, per tessere relazioni foriere di felicità.











