Una guida alla tassazione del Bitcoin in Italia

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Il Bitcoin è la criptovaluta per eccellenza, la più famosa e quella che ha raggiunto le quotazioni più elevate in assoluto. Nato come sistema di scambio alternativo alle valute a corso legale, il Bitcoin è presto diventato anche una possibilità di investimento alternativa al mondo della finanza tradizionale.

Nel corso del 2017 le criptovalute sono diventate famose in tutto il mondo grazie all’inarrestabile “rally” con protagonista il prezzo del Bitcoin che è passato da una quotazione inferiore ai 1.000 dollari a gennaio fino all’incredibile cifra di 20.000 dollari alla metà di dicembre dello stesso anno. Molti hanno così iniziato a considerare le valute digitali un’opzione di diversificazione del proprio portafoglio di investimenti e una possibilità di realizzare margini molto elevati in poco tempo. Tuttavia, nel 2018 il prezzo delle criptovalute è sceso in modo consistente rispetto ai picchi del 2017, ma le previsioni per il 2019 sono di un nuovo trend rialzista.

La questione della tracciabilità

Sebbene le criptovalute sia nate proprio per non poter essere controllate, la loro grande diffusione a livello mondiale ha portato alla ribalta il problema della tracciabilità e quindi della possibilità di venire tassate da parte dei governi, al pari delle altre forme di investimento. Per chi è interessato ad investire nel Bitcoin e nelle altre criptovalute è fondamentale capire come esse possono venite tassate per evitare possibili problemi con il fisco.

La tassazione applicabile al Bitcoin è diventata una questione sempre più discussa in quasi tutti gli stati del mondo, soprattutto in quelli dove le criptovalute sono molto diffuse come il Giappone, la Corea del Sud, ma anche in Italia il dibattito è acceso. Le autorità coreane sembrano voler arrivare ad una regolamentazione del settore delle criptovalute, in particolare delle ICO, della tecnologia blockchain e degli aspetti legati alla tassazione. Al recente G20 di Buenos Aires i Paesi partecipanti hanno manifestato la volontà comune di trovare un quadro normativo a livello globale e hanno provato a trovare un accordo per regolare le criptovalute, senza però pervenire a proposte concrete.

Le criticità delle valute digitali, per i governi, riguardano principalmente la non tracciabilità,  che è l’aspetto che ne ha favorito di più la diffusione come moneta di scambio. Basandosi su una tecnologia decentralizzata come la blockchain, la criptovaluta non è sottoposta al controllo di un’autorità centrale: questo è ovviamente uno dei principi fondanti del Bitcoin e delle altre criptovalute ed è legato ad ideali di libertà in ambito monetario.

La tassazione delle criptovalute in Italia

La domanda che molti investitori si pongono è: ma in Italia c’è una tassazione per le criptovalute? Diciamo subito che al momento nel nostro Paese la situazione regolatoria non è ancora molto precisa e soprattutto non è stata ancora definita con una norma specifica. Non sarebbe obbligatorio, al momento attuale, dichiarare il numero esatto di Bitcoin o altre criptovalute di cui si è in possesso. Tuttavia, in base alla risoluzione n. 72/E/2016 (documento di prassi che ha assimilato le criptovalute alle valute estere) e alla circolare n. 38/E/2013 sul monitoraggio fiscale, anche i redditi provenienti da operazioni con valute virtuali sarebbero sottoposti all’obbligo della dichiarazione.

La tassazione Irpef applicabile ai guadagni provenienti dal possesso di criptovalute sarebbe assimilata alle operazioni con valute tradizionali, secondo l’art. 67 del Tuir e dunque soggette ad un’imposizione del 26% sulla plusvalenza. Viene rilevata ogni conversione di Bitcoin con altra valuta se la giacenza media dell’insieme dei “wallet” (assimilato ad un deposito tradizionale ai fini dell’articolo 67) che il contribuiente detiene è andata oltre il controvalore di 51.645,69 euro per una settimana. La giacenza viene calcolata sulla base del rapporto di cambio al 1 gennaio. La plusvalenza deve essere dichiarata nel quadro RT, liquidando, come accennato in precedenza, la relativa imposta sostitutiva del 26%.

Se i Bitcoin sono detenuti all’estero, l’imposta da tenere in considerazione sarebbe l’Ivafe, quella cioè sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero. In questo caso, però, non sembra esserci obbligo di dichiarazione, almeno secondo quando precisato dall’Agenzia delle Entrate, perché l’imposta si applica esclusivamente ai depositi e conti correnti di natura “bancaria”. Apparentemente, quindi, in questo caso non sembra valere l’assimilazione tra wallet e depositi normali.

Per quanto riguarda l’Iva, la posizione dell’Agenzia è quella di considerare le criptovalute al pari delle valute Fiat e quindi di disciplinarle con le medesime regole Iva. A chiarirlo è la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza C-264/14, secondo la quale perché l’operazione sia qualificata come prestazione di servizi a titolo oneroso non è rilevante il trattarsi di una valuta legale. Dunque anche le valute virtuali sono soggette alle stesse regole delle altre monete: la cessione di unità della valuta virtuale in cambio di valuta Fiat che realizza un margine tra prezzo di vendita e di acquisto, viene dunque considerata una prestazione di servizio a titolo oneroso e, secondo l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e) della direttiva 2006/112/Ce, è esente dall’Iva.

È bene, in ogni caso, cercare di rimanere aggiornati sull’evoluzione del quadro regolatorio in Europa e In Italia. Per chi detiene o ha detenuto criptovalute in questi ultimi anni, il consiglio è quello di affidarsi a dei professionisti per valutare nel dettaglio la propria situazione ed evitare spiacevoli sorprese dal punto di vista fiscale. Da tenere presente che i commercialisti specializzati in criptovalute stanno iniziando a diffondersi anche in Italia.

 

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