UN MILIARDO DI PERSONE MUORE DI FAME: “I’M MAD AS HELL”



Da quando la Fao lanciò il programma mondiale contro la fame , nel 1960, molti tentativi sono stati fatti per porre rimedio ad un problema che è ancora tema della nostra epoca. Dai finanziamenti, ai piani di sviluppo, alle azioni umanitarie… in quello che dal 1989 venne ridefinito il “Sud del mondo”.            
I risultati sono stati scarsi. C’è ancora poca luce in un abisso che contrappone la civiltà, la ricchezza, la prosperità dei Paesi sviluppati al mondo analfabetizzato, ridotto alla miseria, che muore letteralmente di fame.
Può apparire demagogia immaginare di riuscire a non mietere più vittime in un sistema che si fonda sul principio “Mors tua vita mea”; un principio che regola il libero mercato, molte nostre azioni e la natura stessa. Il fatto che si riconosca nella locuzione un fattore naturale e istintivo, rende impossibile giudicare buono o cattivo un leone che sbrana e mangia una gazzella, ma deve consentire alla coscienza dell’uomo di condannare la spregiudicatezza della sua applicazione in molte sue scelte che siano esse economiche o politiche.
Pensiamo proprio al neocolonialismo, a quanto è stato brutale e a quanto lo è ancora se paragonato, ad esempio, a quello dell’impero romano, dove l’ orientamento politico espresso da Plinio il Vecchio era  formare “tante nazioni, una sola patria”. Questa impostazione potrebbe considerarsi un esempio di moderna globalizzazione perchè il risultato delle conquiste era che tutti parlavano la stessa lingua e tutti accettavano il modello di vita romano. Ciò avveniva attraverso uno scambio culturale, il rispetto dell’etnia altrui e un’acquisizione di benefici per i popoli sottomessi  che venivano considerati da subito, parte dell’impero.
Noi neocolonizzatori, è noto a tutti, abbiamo preso dal Sud, sfruttato tutto quello che abbiamo potuto , lasciando loro più miseria di quella trovata, con vantaggi a senso unico che hanno favorito e favoriscono solo il nostro sviluppo. Questo si può giudicare orribile, oppure inevitabile o entrambe le cose.
In qualsiasi caso, giova riconoscerlo, anche solo per rendere onore al pensiero di molti intellettuali che hanno definito la modernità come atto di assunzione delle responsabilità, necessarie per riequilibrare il senso del diritto col senso del dovere.
Prenderne coscienza, poi, implica la tendenza a non sentirsi buoni quando si elargisce aiuto alle popolazioni affamate che noi, Nord del mondo, abbiamo contribuito a rendere tali; piuttosto, deve essere un atto d’obbligo, una piccola forma di pagamento di un debito enorme (non solo morale) che abbiamo contratto per vivere come viviamo.
Forse non si troverà mai un modello di società che assicuri uguaglianza per tutti. Pur consapevoli di questo non dobbiamo consentire alle nostre coscienze di riposare tranquille.

LZ
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