Mister, ho bisogno di lavorare



Che tempi quelli in cui si cercava lavoro spulciando gli annunci, affidandosi alla catena delle  conoscenze familiari o consultando i giornali dei concorsi.  Ad averli fra le mani, con quei numeri  dei posti   evidenziati a caratteri cubitali,  chi era in cerca di  un ‘occupazione si  sentiva  fiducioso e ottimista. Ben altri  numeri sono quelli  che parlano di una disoccupazione giovanile  intorno al 40%, secondo la rilevazione Istat di gennaio, e di un tasso  di disoccupazione  all’11,9% a fronte di una media europea dell’8,2 %.

Particolarmente penalizzata la fascia   compresa fra i 15 e i 24 anni d’età che,  scoraggiata, il lavoro rinuncia perfino a cercarlo, andando ad ingrossare le file  dei “NEET” ovvero giovani che non studiano e non lavorano. A questo bisognerebbe unire i dati  specifici  del  Sud  e  delle Isole,  e se proprio si volesse  bere “l’amaro calice” fino in fondo, dare uno sguardo  a quelli relativi alle donne. Ma dopo ci vorrebbe qualcosa di forte, perchè sono numeri da brivido! Per completare il quadro  l’Eurostat, lstituto europeo per le rilevazioni statistiche,  ha monitorato  il numero dei giovani che vive  per conto proprio concludendo che in  Italia due su tre vivono  con i genitori  anche  oltre i trent’anni, mentre la media dei paesi  del nord Europa è di uno su tre. Un dato che non sorprende, sarebbe strano il contrario, cioè  giovani disoccupati che scialano in case arredate  e accessoriate di tutti i confort…

Non è soltanto una questione culturale, e se in principio ci furono i “bamboccioni ” e i “choosy “(schizzinosi), restii a   sradicarsi  dalle dimore paterne,  poi sono venuti quelli che insistevano  a voler  andare  all’estero  quasi per dispetto, visto che il lavoro qua abbondava  e di chi  s’intestardiva a stazionare nelle aule universitarie fino allo  sfinimento, allo scopo di catturare  un 28, ne vogliamo parlare?

Il lavoro è cambiato, si dice, e di questo si saranno accorti certamente i giovani che più che  proposte di occupazione  si vedono offrire  proposte di apparizione nel mondo del lavoro.  Un ruolo   simile a quello della “comparsa” che, se  ti notano, poi diventi protagonista perchè il lavoro più passa il tempo, e più si rimpicciolisce, tanto che si parla adesso di minijob. Lavori in miniatura magari per renderli più interessanti? Diciamo un lavoro vero diviso in tante parti  e in ogni caso conviene essere ottimisti perchè, se  studiati bene, potrebbero aiutare il mercato  dell’occupazione. Mai  però quanto  l’ultima  considerazione del Ministro del lavoro Giuliano Poletti il quale,  probabilmente scherzando, ha affermato che i giovani invece di inviare curriculum, dovrebbero andare a giocare a calcetto. Superata la spesa di un paio di scarpe, pantaloncini e maglietta resta da  affittare il campo dopo essersi messi d’accordo  sul giorno e sull’orario. Per lavorare c”è tempo, a meno che non si voglia cercarlo in tenuta sportiva, e se qualcuno protesta fargli osservare che sono le nuove regole: ora il lavoro si cerca così,  impossibile che  non gli sia giunta la notizia.

Se è stata una provocazione ha colto in pieno perchè sui giovani e il lavoro ne sono state dette tante, ma  partita di calcetto vs impiego ancora non si era mai sentito. Resta da vedere come reagiranno gli allenatori  delle squadre, che invece di studiare le tattiche, dovranno visionare i profili occupazionali dei calciatori. In base ad essi assegnare  i posti  nelle formazioni che potrebbero risultare  così composte,   in attacco: ragionieri, geometri e  periti informatici, in difesa, giustamente, paramedici, infermieri  e odontotecnici, come  goleador, per le doti di fantasia, un diplomato  in  belle arti e portiere un diplomato al classico, che  mentre pensa para pure. Ma che non diventino troppo bravi però, altrimenti potrebbero soffiare il posto ai calciatori veri, si sa come vanno le cose di questi tempi, inizi giocando e finisci per lavorare, al posto di un  altro…

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