A passeggio. Io, famiglia e Cesare Pavese



Per la prima volta, da che ho deciso di diventare braccianese, ho preso nipotina e dolce metà e, vista la splendida giornata, ce ne siamo andati al lago, sul lungolago di Bracciano per godere l’ultimo sole e l’abbozzo del tramonto.
Mentre conosco a menadito i lungolago di Anguillara e di Trevignano, quello di Bracciano non lo avevo mai “praticato” e da lì, la voglia della prima volta.
Ebbene, mi è venuto da piangere.
Sarà perché era giovedì pomeriggio: dei tanti bar nessuno aperto e, come  anche in Centro città, sembra sia scoppiata l’atomica.
Sarà che vedi cose che volevano, a torto o a ragione, contribuire a  migliorare il decoro urbano e sono invece rimaste a  marcire e gridano vendetta alle tasche di tutti.
Sarà che quel posto dovrebbe e potrebbe essere una ricchezza e, al contrario  mi è sembrato un deserto senza vita.
Tutto questo “sarà” mi ha fatto venire il magone e, meno male che c’erano una coppietta di fidanzatini, teneri e non volgari nel loro volersi bene, una coppia di cigni che scivolavano sul lago, una famigliola di anatre selvatiche che seguiva e un quartetto di oche sulla riva che volevano ricordarmi che l’atomica non era scoppiata e che non stavo in un clone di lago in chissà quale altro mondo.
Quando torni alla realtà, pensi e mi viene in mente che Bracciano  soffre, forse, dei problemi che nei secoli scorsi ha sofferto, assai più in grande, Genova.
Gli abitanti della più grande Repubblica Marinara, fino a pochi anni fa, se il mare lo volevano “godere” dovevano andare in un altro posto, verso Savona o verso La Spezia, perché, in città, il mare era loro precluso da mura, varchi, protezioni e controlli di guardie repubblicane, prima, Carabinieri, Finanzieri e Doganieri poi.
Ci sono voluti la volontà del Comune, l’arte di Renzo Piano e oggi i Genovesi si godono il Porto Antico e il loro mare.
Bracciano, come Genova che dà il suo nome a un golfo che fino a ieri non ha goduto, se non per il solo commercio, dà il suo nome ad uno dei laghi più belli dell’Italia centrale e non gode il suo lungolago.
Come i vecchi genovesi che percorrevano la riviera verso Levante o Ponente, ce ne andiamo verso Trevignano o verso Anguillara.
Non so se per scelta o per condanna, i Braccianesi, quelli che vivono dentro e attorno al centro storico, sembrano legati al castello, a doppio filo, come se qualche medioevale armata potesse arrivare a rompere gli equilibri di sempre.
Mi piacerebbe rompere quegli equilibri ricordando cose che mi avevano spiegato, anni fa in Sardegna. Per sua natura, l’isola dovrebbe  avere prodotto prevalentemente un popolo di navigatori. E’ l’esatto contrario, perché l’isola ha prodotto prevalentemente pastori e agricoltori Fino a mica tanti anni fa, nelle famiglie sarde, i figli maschi ereditavano le terre “sopra monte”, le terre “buone”, quelle dove le pecore potevano mangiare e produrre ricchezza. Le figlie femmine ricevevano in dote terre di poco valore, quelle lungo le coste battute dal vento, dove tra sabbia e  roccia  sbocciano, quasi per miracolo, un ramo di mirto, di erica o di lentisco. “Hodie mihi , cras tibi”, dicevano gli antichi. Le povere ragazze di allora hanno venduto all’Agha Khan e a molti altri quelle povere terre ricavando gruzzoli assai più remunerativi di una tosatura di pecore, di una caciotta , o una ricotta. E’ nata così la Costa Smeralda  e  così sono nate tante altre realtà di turismo qualificato e non di massa.
Non sono così cretino da sperare ville a cascata verso lago e so che non potrei mai vedere una nave della Costa Crociere nel lago di Bracciano. Ma tra il nulla e il tutto ci sarà pure una via di mezzo, una via che permetta anche ai Braccianesi  di potere vivere il loro lago?
Immagino quel lungolago come cosa animata, piena di vita. Mi fa venire nell’anima, invece, la tristezza di Cesare Pavese che, guarda caso, trova un omonimo cui Bracciano dedica la piazzetta d’ingresso a quel Liceo che lo ha visto  primo preside.
Ma sapranno gli studenti di quel Liceo chi è stato, per davvero, il loro primo preside?

Marcello Ramognino

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