Giornalismo: lavoro o schiavitù?



Essere giornalisti è oltre un semplice mestiere, perché è innanzitutto una missione. Certo è un lavoro, ma non come tanti. Non è un qualcosa che fai andando a lavorare dalle 8:00 alle 18:00; è un approccio alla vita che nasce dalla curiosità e che finisce con il diventare un servizio pubblico. In questo, a mio avviso, consiste la missione del giornalista, ossia offrire alla collettività un modo curioso di vivere il mondo per incuriosire i lettori a capirlo e possibilmente viverlo meglio.

 

Oggi, però, questa missione diventa sempre più difficile portarla avanti. Tra le difficoltà che incontra chi come me ha questa vocazione c’è quello del giusto compenso per l’attività svolta. Faccio una premessa: ringrazio il mio editore perché da quasi tre anni mi permette di dirigere con gioia, allegria, e armonia la testata de “Il Tabloid”. Lo ringrazio anche perché ogni 10 del mese è puntuale nel darmi un compenso che trovo “cosa buona e giusta”.

Purtroppo non tutti sono come lui, anzi…..chi di voi ha intrapreso il cammino del giornalismo, sa bene che il talento, lo spirito di sacrificio e la voglia di adoperarsi per portare avanti la propria missione sono mortificati ed umiliati o da compensi ridicoli o da lavoro non retribuito. Scrivi due pagine al giorno? Beh la paga consiste nel permetterti di farlo…..Però loro incassano i soldi dei lettori, degli sponsor ed alle volte anche dello stato (noi), senza se e senza ma…..Insomma nella migliore delle ipotesi, a stento si hanno indietro le spese, mentre nella maggioranza dei casi devi rimetterci il tempo, la fantasia, l’intuito, le spese del cellulare, quelle del trasporto ed anche del caffè al direttore.

 

Dite che esagero? Bene, vi racconto quello che mi è successo in questi giorni. Un noto quotidiano che si occupa delle cronache di Napoli, tramite un suo collaboratore (un mio amico ed ex collega ai tempi di un’emittente televisiva), mi invita ad inviare il curriculum poiché vogliono ampliare l’organico e sono alla ricerca di nuovi collaboratori. Tempo una settimana dall’invio (l’idea di ampliare l’orizzonte lavorativo mi allettava), e sono contattato da una segretaria che mi convoca in sede per un colloquio.

 

Lo faccio ed il collaboratore mi dice che sono stato preso. Inizio, così, ad occuparmi di sport della mia città, in particolare di calcio. Dal venerdì alla domenica, tra la redazione e casa mia, impiego dalle 3 alle 4 ore pomeridiane per completare il compito che mi viene assegnato di volta in volta. Novembre….dicembre….gennaio….febbraio…e dico al collaboratore “Scusa ma il compenso?”. Appena, però, faccio questa richiesta, d’improvviso smette di dirmi cosa scrivere. Suvvia, cosa pretendevo, già è troppo che esce la mia firma…..La cosa inizia ad infastidirmi non poco e prima di rivolgermi ad un avvocato (spè…..sono anche un avvocato….) ho tentato una decina di volte di farmi contattare per avere ciò che mi spetta.

 

 

Bene, all’improvviso ricevo una telefonata che mi chiede di passare in redazione per ritirare il compenso… Caspiterina, dopo aver scritto 72 articoli, era ora, che bello! Vado in sede e ricevo un assegno di 300,00 euro…..Neanche 5 euro a pezzo……Faccio notare lo schifo con garbo, prendo l’assegno e torno a casa. La dignità che c’è in me subito ha chiesto aiuto al mio lato forense. Il mio lato da giornalista ha urlato vendetta, ma, in fondo, sono sempre un signore. Se facessi causa a quel quotidiano che narra le cronache di Napoli, il collaboratore verrebbe licenziato. In certi posti, purtroppo, così funziona. Ora, per quanto possa essermi arrabbiato, il posto di quel collaboratore è più importante di un’offesa alla mia missione.

 

 

Napoleone diceva che c’è da avere più paura di tre giornali ostili che di mille baionette. Ma se i giornalisti sono trattati in questo modo, chi osa occuparsi per davvero di chi gestisce il potere? Miller una volta affermò che un buon giornale è una nazione che parla a se stessa. Ma che linguaggio è quello di una nazione nella quale i cittadini (giornalisti) sono trattati come schiavi? Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia, non un grande tormento. Certi editori ricordano certi politici: credono che a loro tutto sia permesso. Per costoro la dignità di un lavoratore vale zero; per loro contano solo i profitti da privatizzare e le perdite da socializzare.

 

Come detto prima, ho la fortuna del mio editore, il quale mi permette anche di denunciare questo schifo. Colgo l’occasione per portare all’attenzione del Presidente dell’Ordine della mia regione e dei consiglieri che non tutti hanno la mia fortuna e che, anzi, quanto mi è accaduto è solo la punta di un iceberg di letame che infetta la missione più bella della società, il giornalismo. Vi prego di trovare quanto prima l’antidoto, grazie.

Infine se qualcuno ha qualche dubbio in merito, lo sfido a portarmi davanti ad un giudice, in modo da potergli presentare tutte le prove a sostegno dei suddetti fatti.

Mala tempora currunt, sed peiora parantur.

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Informazioni su Alfredo Di Costanzo 27832 Articoli
Motus vivendi è il suo motto. Ama tutte le declinazioni delle due ruote ed adora vivere nell'universo dei motori. Da quindici anni ha la fortuna di essere giornalista sportivo, occupandosi di tutto ciò che circonda un motore. E' per il dialogo ed il confronto tra chi, pur avendo la stessa passione, ha idee diverse.

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