La non ricorrenza della gentilezza

La non ricorrenza della gentilezza



La gentilezza, intesa come nobiltà d’animo, nasce con il Dolce Stil Novo. “Al cor gentil rempaira sempre amore” amava ripetere Guinzelli per cui i cuori gentili erano sempre gratificati, l’ amore dato, infatti, si tramutava in amore reso. Oggi, invece, la gentilezza è un termine desueto, un virtuosismo per pochi eletti. Il garbo, l’educazione, la pacatezza, stridulano con un mondo che urla, bestemmia, invidia, rosica e vive nella più brutale indifferenza incurante dell’altro.

Per tanto, stiamo finendo per svilire il senso della gentilezza che non è più un automatismo volontario bensì un copione da recitare, a comando, nelle ricorrenze. Meste o felici non ha importanza, è più rilevante che l’ attore salito sul palcoscenico si vesta di una purezza d’ animo che gli permetta di governare questo misero show. Ai compleanni si addicono candeline virtuali e auguri non personalizzati, frasi standard. Ai funerali, invece, è d’uopo il cordoglio convenzionale, il “mi dispiace” retorico.  Dobbiamo essere amorevoli verso il prossimo solo quando è prevista la replica, solo quando è necessario, quando il pubblico invoca il bis.

Manca poco più di un mese al Natale

Tra poco più di un mese è Natale e in quella ricorrenza saremo tutti attori. Perché, come amava ripetere un noto slogan pubblicitario, “a Natale siamo tutti più buoni” e, pertanto, il seme della gentilezza fiorirà in ognuno di noi. Il convenzionalismo ci imporrà di chiamare un parente e di invitarlo a pranzo. Compreremo regali per la suocera o la cognata di turno, che generalmente non tolleriamo, ma “pare brutto non fargli il regalo”. Chiameremo con la scusa degli auguri persone che non sentiamo da secoli, perché “a te e famiglia” suona bene, è come la zampogna, il colore rosso, il pastorello, il vischio: fa festa, fa Natale.

Alle maschere, tante, tantissime, la maggioranza si contrappongono i cuori nobili, i coraggiosi eredi del Dolce Stil Novo, sopravvissuti in tempi duri, durissimi. Sono quelli che con il sorriso sulle labbra ti dicono ancora “buongiorno” se ti capita di incontrarli per strada. Sono quelli che in un bar osano sorprendere tutti  perché con educazione e al contempo decisione affermano “ Salve, cortesemente potrei avere un caffè?” Con quel tono garbato affascinante e un po’ vintage. Sono gli uomini che venerano ancora le proprie donne  regalandogli il “lusso discreto” di aprire lo sportello della macchina. Sono le madri e i padri che educano i loro figli all’ amore, che gli insegnano il senso civico, spiegandogli che l’ altro non è niente altro che “tu”.

Impariamo a festeggiare il “non compleanno”

Sono gli amici che, nostalgici di Alice e il Capellaio Matto, si ostinano a festeggiare “il buon non compleanno” perché credono allo stare insieme, perché osano festeggiare senza una candeline. Perché hanno compreso che prendersi per mano è sempre una vittoria, specie quando il mondo fa paura e ci si sente meno vulnerabili insieme.

I coraggiosi hanno compreso tutto: la gentilezza non è una ricorrenza. Non è una data. Non è un copione. E’un atto d’ amore autentico.

“Scusa, mi dispiace, permesso, conta su di me”: pronunciamoli più spesso.

Perché non sono solo parole ma sono carezze per l’anima. Non bastano. Ne occorrono sempre di più.

E poi sforziamoci di chiedere “come stai veramente?”. Dove il veramente non è pleonastico ma è il vero valore aggiunto perché io e te fa sempre: ”noi”, l’aritmetica è infallibile: educhiamo il mondo ad avere il coraggio,  insegniamo la non ricorrenza della gentilezza.

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